domenica 30 gennaio 2011

CASTELVECCHIO: LA CITTA' PERDUTA

di Fabio Cappelli

la prima parte del sentiero
La Toscana come sappiamo è una regione che ha conosciuto sul suo territorio l'avvicendarsi di molte civiltà ed epoche storiche, dal remoto passato etrusco per passare al dominio romano e ancora il Medioevo, il Rinascimento e così fino ad arrivare all'epoca contemporanea.
Ogni epoca ha regalato ai cittadini del XXI secolo un patrimonio dal valore inestimabile del quale troppo spesso si è portati a dimenticare, gioelli di arte urbanistica e archiettonica che sono il risultato del genio dei nostri predecessori, della loro necessità di trovare un'armonia con un'ambiente che già porta con se un valore intrinseco immenso e che dall'ambiente hanno ricavato le materie prime semplici e durevoli per costruire grandi città, castelli, borghi e insediamenti che sono giunti fino a noi.
il mastio
Ci sono città che a fasi alterne hanno conosciuto periodi fiorenti ed altri di decadenza, borghi un tempo al centro di una vivace attività commerciale, che col cambiare dei baricentri dell' economia  hanno conosciuto un progressivo calo demografico,  mentre al contrario villaggi semi-disabitati, hanno ritrovato, in sintonia anche con le recenti tendenze di un ritorno al vivere slow una nuova vitalità!
La città di cui però vi voglio parlare non rientra in nessuna di queste categorie, questa città è ormai tornata a far parte della natura, inghiottita da essa ormai da lungo tempo, una città che ha conosciuto intorno al 1200 un periodo di splendore e che ora è solo un insieme di rovine in balìa degli elementi, vi voglio parlare della città perduta di Castelvecchio.
Quando mi ci hanno portato per la prima volta, nel momento esatto in cui, alla fine di un sentiero sconnesso nel folto della selva mi sono trovato davanti agli occhi una torre che svettava da una mare di verde sono rimasto meravigliato, una meraviglia dettata dal fatto che semplicemente non te l'aspetti!
La prima sensazione che pervade l'osservatore è lo stupore, non di rado infatti, per chi ama fare lunghe passeggiate in mezzo alla natura capita di imbattersi in ruderi di vecchie fortificazioni medievali, di pievi isolate, o di qualche avamposto d'avvistamento, ma Castelvecchio no, qui c'è molto di più, scendendo dal sentiero per poi risalire lungo lo sperone roccioso che ospita  il mastio, si offre infatti al visitatore la vista di un'autentica città perduta, una Angkor in piccolo nelle foreste di casa nostra!
La chiesa
Posta attualmente entro i confini del Comune di San Gimignano, Castelvecchio è stata in epoche passate contesa dalla stessa San Gimignano e dalla vicina Volterra, aspre battaglie combattute dalle due potenze rivali fecero scivolare a più riprese entro in confini dell'una o dell'altra parte la città fortificata che per un breve periodo provò anche a ergersi al ruolo di libero comune, tuttavia troppo debole per garantirne una duratura indipendenza schiacciata com'era dalle mire egemoniche di vicine tanto ingombranti, in breve, alla fine del 1300 entrando sotto la definitiva sfera d'influenza di San Gimignano, Castelvecchio, ormai non più caposaldo strategico, impoverita dai precedenti saccheggi e decimata la sua popolazione dalla peste nera, conobbe un rapido declino, al punto tale che le cronache ci riportano che dalla fine del 1600, quello che un tempo fu il grande castello ormai era solo un villaggio che la natura, unica vera vincitrice, stava riprendendo a se.
Cisterna per l'acqua
Oggi, come ho avuto modo di anticipare, Castelvecchio è una città perduta, invisibile ai più, se non addentrandosi per quache chilometro a piedi nella macchia selvaggia e lussureggiante, una volta arrivati potrete osservare i resti di un villaggio che la civiltà contemporanea ha purtroppo smarrito, un luogo surreale al cui passaggio sembra ancora di sentire l'eco delle voci e  dei rumori delle persone che vi hanno abitato, girovagando per i ruderi si può volare con la fantasia provando a immaginare quale fosse la vita di chi vi risiedeva più di 600 anni fa!
Ora come allora, le case, ormai crollate, erano lo spazio quotidiano entro il quale si svolgeva l'attività delle famiglie, al suo interno avremmo visto bambini e adulti che animavano  l'intimità del focolare, mentre affacciandosi per le strade prendeva vita ogni giorno il via vai dei cittadini che movimentavano la piazza, le botteghe, i luoghi di culto e gli edifici dedicati alla vita istituzionale, avremmo visto certamente mercanti e artigiani, maestranze impegnate nelle loro attività, guardie di presidio sulle mura di cinta, uomini di chiesa intenti a diffondere il Vangelo; ma tutto ciò, se mai corrispondesse anche alla realtà di quei tempi, prende forma solo nelle menti più fantasiose,  di fatto, di tutta questa vita decantata non resta nient'altro che la fredda pietra, rovinata su se stessa dopo secoli di silenzio e solitudine, interrotta sporadicamente dalle voci sommesse dei rari visitatori del luogo.
L'ultima considerazione ha un sapore amaro, dettato dalla constatazione che un sito archeologico di così alto valore culturale e storico conosca ancora ai giorni nostri il quasi totale abbandono da parte di tutti quegli organi preposti a mantenere, sorvegliare e valorizzare un luogo che è testimone diretto del nostro passato, confidando in un rapido cambio di rotta prima che anche le ultime tracce vadano perdute per sempre, invito chiunque a dedicare un ritaglio del proprio tempo per andare a vedere le rovine di Castelvecchio! 



sabato 15 gennaio 2011

IL DELITTO DEL CORPUS DOMINI

 di Fabio Cappelli

Come direbbe lo scrittore Carlo Lucarelli, "...quella che vi sto per raccontare è una storia vera, una di quelle storie che mettono paura, una di quelle storie che fanno scendere un brivido freddo lungo la schiena, questa è la storia del delitto del Corpus Domini...".
E' una storiaccia di cronaca nera ormai persa fra i ricordi di una Italia che non esiste più, a dispetto del suo nome che potrebbe rievocare qualche assassinio perpetrato nelle misteriose stanze di una sagrestia ai danni di qualche prelato, questa storia invece parla di un intreccio di amore, gelosia, orrore e bellezza! 
Ma veniamo ai fatti, questa più che la storia del delitto del Corpus Domini, è in primo luogo la storia della bella Elvira, al secolo Elvira Orlandini, una ragazza poco più che ventenne che abitava a Toiano, un isolato e tranquillo borgo d'origine medievale sperduto fra le ondulate colline della campagna fra Palaia e Volterra, circondato in alcuni punti anche da una folta selva, questa è la storia di un delitto appunto, non è una storia romanzata ma un vero fatto di sangue che riempì  all'epoca pagine di giornali, e accese, come sempre accade in questi casi, le morbose esigenze della gente di costruire ipotesi di dietrologismo che oggi come allora accompagnano fatti tanto gravi quanto coperti da un alone di mistero impenetrabile.
Le fonti raccontano che Elvira in quella mattina di un ormai lontanissimo 5 giugno del 1947,  giorno di festività per la ricorrenza del Corpus Domini, si recò ad una fonte d'acqua poco distante da casa sua per riempire delle brocche in una località della quale già il nome evoca delle atmosfere cupe, "il botro della lupa".
Da questo momento in poi il tempo sembra fermarsi, e quando ricomincerà a scorrere lo scempio si è ormai consumato, infatti solo qualche ora dopo che la giovane si era allontanata di casa, i parenti ormai ragionevolmente preoccupati nel non vederla rincasare, decisero di addentrarsi nel fitto della macchia facendone di li a poco la terribile scoperta, Elvira infatti ormai esanime, fu ritrovata in una pozza di sangue e con un profondo fendente alla gola ben assestato da una mano assassina.
Elvira Orlandini
Successivamente a tale evento, che sconvolse profondamente una comunità fatta di persone semplici, si scatenò un'autentica caccia all'uomo, ci furono anche indagini su persone molto vicine alla giovane, si parlò di un amore non corrisposto da parte di qualche uomo della zona che aveva in questo modo deciso di vendicare il rifiuto da parte della ragazza, si parlò di gelosia da parte del fidanzato che con un gesto tanto orrendo avrebbe, almeno nei suoi distorti pensieri, tenuto per sempre con se l'amata donna;  la cronaca nera di allora riempì pagine di giornali, perchè in quell'Italia appena uscita dalla catastrofe della guerra andava bene ogni argomento che facesse evadere la mente dalle ferite ancora fresche delle distruzioni morali e materiali che la popolozione, allora prevalentemente di estrazione contadina, aveva dovuto subire negli anni del conflitto, e così anche la storia di un delitto tanto efferato come quello di Elvira Orlandini poteva paradossalmente servire a far ritornare  lentamente le persone ad una sorta di "normalità".
In seguito, passato il momento comprensibilmente più emotivo, non rimaneva che scoprire la nuda verità, ma col trascorrere dei mesi tutto il ventaglio di ipotesi formulate in maniera più o meno razionale non condussero a niente di certo, la ricerca del colpevole divenne sempre più difficile, fino a sprofondare nella palude dei tanti processi conclusi senza una verità definitiva.
Col tempo quella storia che aveva destato tanto scalpore, che era stata presa a spunto anche da romanzieri e registi per scrivere pagine letterarie e cinematografiche, divenne sempre meno interessante, i giornali trovarono sicuramente qualcosa di più intrigante da portare a gli "onori" della cronaca e alla fine, così come fu per il borgo stesso di Toiano, decadente e ricoperto dai rovi, anche la storia di Elvira scivolò nell'oblio, viva solo nella memoria dei parenti e dei compaesani testimoni diretti di quei tragici avvenimenti.
Sul luogo del misfatto, a ricordo di quella giovane donna prematuramente strappata alla vita fu eretto un cippo commemorativo dove ancora oggi qualcuno passa a deporre un fiore, l'iscrizione su di esso riporta le seguenti parole:

QUI
IL 5 GIUGNO 1947
GIORNO SACRO AL SIGNORE
CADDE
ELVIRA ORLANDINI 
DI ANTONIO
DI ANNI 22
BARBARAMENTE UCCISA
DA MANO ASSASSINA

mercoledì 5 gennaio 2011

PASSEGGIATA D'INIZIO ANNO ALLE LEGGENDARIE FONTI DI PANCOLE

di Fabio Cappelli

LA SCALA - SABATO 1 GENNAIO 2011 

La prima giornata dell'anno si è aperta in un' atmosfera sonnacchiosa, conseguenza delle ore piccole della notte appena trascorsa.
Esattamente 12 ore dopo da quando si erano salutati in direzione letto, si sono ritrovati alle 14:30 per iniziare la camminata post-cenone di Capodanno, tanto per abbattere le calorie di troppo, notte tempo assimilate!.
I protagonisti: Io, Francesca, Leonardo, Oana, Linda e Leone (cane fifone), destinazione le misteriose Fonti di Pancole.
il Parterre sulla sinistra
Prendendo spunto da un articolo apparso su di un blog amico, i nostri argonauti hanno obbligatoriamente dovuto calzare stivali in gomma perfettamente impermeabili,  questo per due ottimi motivi, 1° le incessanti piogge dei giorni scorsi hanno reso i campi  dei pantani, 2° motivo è che per poter compiere la visita del sito si deve entrare e sostare in un ambiente con uno strato d'acqua sul pavimento che in alcuni punti può avere un'altezza di 10cm!
Dall'abitato di La Scala, ci siamo diretti in località le Fonti, che se anche non sono le Fonti di Pancole, dal nome sembrano comunque promettere bene!!!
Passando davanti allo stabilimento della Generosa, un tempo adibito all'imbottigliamento delle acque (che ivi sgorgavano e tutt'ora sgorgano purissime) e che ormai da molti anni è in uno stato di abbandono, abbiamo proseguito verso il trivio le cui strade conducono in ordine da sinistra a destra a la chiesa di S.Pietro alle Fonti, casa Mori, chiesa di S.Lorenzo a Nocicchio, e siccome la verità come dicevano gli antichi romani sta nel mezzo, l'allegra comitiva ha imboccato la via centrale, iniziando un percorso sterrato in leggera salita.
In questo primo tratto, in prossimità di un gruppo di case sulla sinistra, sono state anche notate delle fondamenta su cui poggiano le abitazioni, caratterizzate da arcate in laterizio di manifattura antica, tanto pregiovoli quanto sconosciute nella loro origine.
Tirando innanzi, finalmente siamo in prossimità di casa Mori, qui la strada principale (sterrata ma ben battuta), svolta a 90° verso sinistra, ma va ignorata, infatti il tratto d'interesse del gruppo è in direzione opposta, con una salita che inizia a perdersi nel verde dell'erba dei campi e fra le toppe di fango che qua e la affiorano, talvolta rendendo poco agevole il cammino!
Fonti di Pancole - ingresso
Infine le Fonti di Pancole, una struttura in mattoni, visibilimente antica, in buona parte coperta da vegetazione e in uno stato, a mio dire, di colpevole abbandono vista l'importanza storica del manufatto, che taluni fanno risalire addirittura ad epoca etrusca!
Arrampicandoci per una viscida rampa di terra intrisa d'acqua e dall'acqua percorsa, entriamo; posiamo lo sguardo un pò ovunque per beneficiare della vista di un ambiente fuori dal tempo.
Ah! se i mattoni avessero voce!!
Fonti di Pancole - cisterna
Chissà quanta vita è passata la dentro, quante generazioni hanno attinto a quella fonte per dissetare anime e gole!
Fonti di Pancole - volta a crociera
Ad ogni modo, le indicazioni di portare un buon paio di stivali in gomma erano più che giustificate, il fondo del primo ambiente in cui entriamo, è uno scorrere incessante d'acqua limpida che ci sommerge fino ai piedi, di fronte un piccolo anfratto da cui l'acqua sgorga copioso, in pratica si tratta della fonte vera e propria, che ancora oggi dopo tanti secoli è viva e zampillante; in terra, una serie di motori elettrici in disuso, residuati d'un tempo non lontano, usati per incanalare il prezioso liquido, sulla destra una cisterna dalla profondità stimabile in 2,5 ml, colma ,di un bel colore azzurro, il soffitto è fatto a volte dal quale pendono piccole stalattiti calcaree!
Terminata questa affascinante quanto inusuale visita ad un luogo ricco di tanto fascino, proseguimo tra erba e fango verso un altro luogo che sembra sospeso in un limbo, il Parterre, per qualcuno di noi un ritorno sul luogo del delitto, vecchia conoscenza di scampagnate e merende in età adoloscenziali, un'isola di verde circondata da campi coltivati, uno di quegli strani luoghi che sembrano far convergere a se delle linee di energia, sostiamo qualche minuto, il tempo di far riemergere qualche ricordo legato al posto e poi di nuovo in cammino, oltre il giro di boa, direzione casa.
Il ritorno vede una variante al percorso, che anzichè ricalcare a ritroso la via dell'andata fa una deviazione a la Villa, luogo anch'esso legato all'infanzia di molti scalesi, questo poderoso edificio che domina la valle sottostante racchiude in se chissà quali segreti!
Ci passiamo davanti, lo costeggiamo rispolverando qualche aneddoto legato ai suoi inquilini  più famosi e proseguiamo giù, per quello che un tempo era conosciuto come il campo del Circolo, infatti qui fino a pochi anni fa erano organizzate le feste de l'unità e le feste d'estate che vedevano riunita molta della popolazione scalese, ora tutto ciò è passato alla storia, di quei terreni non rimane niente se non la memoria, quello spazio è stato occupato da nuovi edifici e nuovi abitanti.
Chiesa di S.Pietro alle Fonti
Continuiamo con incedere deciso verso il sottobosco, altro luogo dei ricordi, all'ombra del campanile di San Pietro infatti si sono consumate battaglie fra clan di giovani scalesi a colpi di fionde e nuvoloni di polvere, tra fortini improvvisati e gallerie nella terra, scavate da chissà chi! L'ultimo sforzo per le gambe, vede l'ascesa verso la chiesa da dove possiamo godere di una visuale completa del paese e che di fatto mette fine alla nostra passeggiata, sotto un cielo increspato di nuvole e dai toni arancioni dell'ormai prossimo tramonto.